Non un semplice evento, sicuramente più di una cena. L’Unione fa le Marche è la sintesi perfetta di tanti gustosi Fatti conditi da altrettante buone Chiacchiere.  Un momento per trovarsi a tavola e condividere tra buongustai, cultori dell’enogastronomia, produttori e chef d’eccezione quanto le Marche e i marchigiani hanno da dire, offrire, mostrare e sanno cucinare! E l’appetito, si sa, vien mangiando…

fragustoepassione:L'unione fa le Marche

Nell’arco dell’anno ci sono molti eventi a cui si è invitati, dalle “banali” cene di amici alle serate particolari, e ognuno di noi ha un personale indice di gradimento che permette di scegliere se accettare o declinare. Poi ci sono degli eventi, rari, che “suonano” come jam sassion culinarie per virtuosi del buon vivere. Se non vai ti sembra di perdere un’occasione e nonostante partecipare sia super complicato (hai organizzato la festa di compleanno di tuo figlio, è lontanissimo, di notte guidi mal volentieri, la gastrite ti tormenta..etc..etc…) fai i salti mortali per esserci. Ecco, L’unione fa le Marche è uno di quegli eventi che, a naso e da marchigiana Doc, sentivo il dovere morale di presenziare. Vuoi perchè nell’organizzazione c’era la mano raffinata de Le Marchese del gusto e l’esperienza della Picenum Tour, entrambi grandi conoscitori e diffusori della cultura enogastronomica locale; vuoi perchè il format nuovo mi sembrava stuzzicante e piccantino al punto giusto. In più, non vedevo l’ora di conoscere 3 chef di cui continuavo a leggere e sentir parlare ma che ero stanca di non poter accostare a una consistenza, a un profumo o averne un retrogusto in bocca.

Gli chef…nella mia immaginazione prima di scoprirli nel piatto

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Simone Ventresca (Antico Caffè Soriano),  il padrone di casa. Nel mio immaginario lo associavo  alle olive all’ascolana,  forse perchè di lui avevo letto un articolo che osannava le sue originali “Olive in Pasta”: spaghetti con pesto di olive fritte. E potete immaginarvi quanti sogni peccaminosi mi aveva ispirato il suo panettone all’olio di oliva tenera ascolana con canditi di olive. La stilosa penna delle Marchese definiva Simone “Il Capitano di una ciurma di Piarati” con forte spirito d’avventura e una fiamma che arde dentro, e io non vedevo l’ora di salire a bordo di quella nave e salpare da San Benedetto verso terre a me ignote.

Alcide Andrea Romano, ( Ristorante “La Croisette”  San Benedetto del Tronto), per me  rappresentava  l’uomo che sussurrava ai pesci, lo chef figlio di marinai cresciuto con le onde dentro. Da lui mi aspettavo qualche viaggio  in oriente, a prendere salse o spezie come avevo notato spesso nelle sue creazioni.  Ero troppo curiosa di capire cosa si nascondesse dietro al suo marchio di fabbrica…quel #gnagnostyle a cui era il momento di dare forma, colore e soprattutto sapore…

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Umberto Bentivoglio (Ristorante Ginevra Ancona) per me era il  fantasista “straniero” che giocava  con successo già da qualche anno nel capoluogo marchigiano; il ragazzo dai tatuaggi mangerecci, dalle composizioni raffinate con i bricchetti “a parte” (vedevo spesso foto di piatti minimali con succulenti brodini, sughetti e cremine da aggiungere “poi”), del vedo-non vedo,  delle piccole composizioni disseminate di dettagli, degli ingredienti nascosti e del: “mangiate pure con le mani, fregatevene dell’etichetta, portate alla bocca, annusate,  ciucciate…”. Ma come poteva convivere questo approccio primitivo con tanta raffinatezza? Dovevo assolutamente scoprirlo …

Il Menù della serata

Fragustoepassione_piatti gourmet

Prima che fosse pubblicato mi sarei aspettata, non so perchè,  nomi raffinati e ingredienti complessi e invece a prevalere è  stata la voglia di giocare, di non prendersi troppo sul serio, di  raccontare una marchigianalità culinaria fieramente ruspante. Simone Ventresca  proponeva la sua idea di ventresca e carciofo,  quasi un atto di cannibalismo. Umberto Bentivoglio  presentava e raccontava la sua storia d’amore col maiale. E poi  tutto quel concentrato di Marche, dal brodetto che un san benedettese con il  “mare” che scorre nelle vene come Andrea non poteva resistere dal fare, ai vincisgrassi ( la versione 3.2…di quale “diabolica” rivisitazione staremo parlando?), fino al famoso frustingo, che è uno dei tanti  “esteticamente brutti  ma buoni dentro”,  della nostra tradizione. Come lo avrebbero presentato?

Con questo zaino di aspettative sulle spalle, ma con la mente libera, gli occhi curiosi, il palato pronto e la pancia vuota, mi sono ritrovata all’Antico caffè Soriano. E come è mio solito durante ogni evento, condivido  i tre fermo-immagine per me più significativi della serata.

3. Il faccia a faccia con la filiera corta

fragustoepassione_Bentivoglio e Poeta

L’idea che ogni chef abbia inserito nel piatto un prodotto a cui è particolarmente legato e che lo stesso sia poi diventato il pretesto per parlare dell’ azienda che gli sta alle spalle, suona come esplicito atto d’amore nei confronti del nostro territorio.  Trovare il miele di Giorgio Poeta, i carciofi dell’azienda Agricola Capocasa e la pasta Regina dei Sibillini nei piatti esaltati dalle mani creative degli chef, e contemporaneamente i loro produttori  seduti a tavola di fronte a me, ha significato “aggiungere sostanza”. Questo connubio mi ha dato la dimensione reale della vicinanza, del passaggio dal km zero alla stretta di mano, del cerchio che si chiude attorno a una regione caparbiamente autonoma.

2. Il Piatto dell’Unione fa le Marche

fragustoepassione_vincisgrassi gourmet

I piatti erano tutti divertenti e dalla forte personalità. Se dovessi fare una scelta di cuore e d’istinto sceglierei  il mare: quell’accostamento tra l’irresistibile scioglievolezza  del crudo e la delicatezza del cotto di “mano Gnagnesca” mi ha rapito l’anima, come quel carciofo ricomposto sopra l’importante cubotto di ventresca che si tagliava con uno sguardo.   Ma se dovessi usare la testa, c’è un piatto che ha sancito il vero armistizio, quello scacco che (da sempre) mette  d’accordo tutti i marchigiani e precede la  pace dei sensi. Sto parlando dei vincisgrassi 3.2, totalmente stravolti nella forma e nelle consistenze (gel di besciamella, rigaglie liofilizzate), ma che al palato risultavano esattamente tali e quali a quelli della tradizione marchigiana più intransigente ed estrema. Era il vincisgrasso della nonna. Punto.  E per questo gioco disarmante tra il lifting della forma e l’ intoccabilità della sostanza, piatto simbolo della serata.

1. Il Marche Power dell’atmosfera

Fragustoepassione_Marche Eventi

Un crogiuolo di Buongustai che, lasciando da parte le etichette,  si incontra solo per il gusto di “magnà bè, sta bè e divertisse“. Raffinatezza fa rima con schiettezza, il confine tra alto e basso si dissolve, le montagne si spingono fino alla costa, il mare incontra la terra. Non c’è nord, non c’è sud. C’era solo “Marche Power”,  questa energia che io mi sono goduta fino all’ultimo cioccolatino (fondente, bianco e mieloso) e alla quale ho dedicato diversi meritatissimi brindisi. Il Pecorino della Cantina San Michele a Ripa era ottimo e il Verdicchio dei Castelli di Jesi  Passito Moncaro era l’unico happy end che, dopo una serata così,  si potesse desiderare…

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